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“Due vite” di Emanuele Trevi: recensione libro, podcast, reading

La seconda vita dei ricordi: il libro di cui ci occupiamo oggi è Due vite di Emanuele Trevi, pubblicato da Neri Pozza Editore e vincitore del Premio Strega 2021.

L’unica cosa importante in questo tipo di ritratti scritti è cercare la distanza giusta, che è lo stile dell’unicità». Così scrive l’autore in un brano di questo libro che, all’apparenza, si presenta come il racconto di due vite, quella di Rocco Carbone e Pia Pera, scrittori prematuramente scomparsi qualche tempo fa e legati, durante la loro breve esistenza, da profonda amicizia. 
Se era per cercare un antidoto alla morte, Trevi ha composto l’opera giusta, almeno contro la morte intesa da questo romanzo. Cito testualmente: Quando anche l’ultima persona che ci ha conosciuto da vicino muore,  ebbene, allora davvero noi ci dissolviamo, evaporiamo, e inizia la grande e interminabile festa del Nulla, dove gli aculei della mancanza non possono più pungere nessuno.”

Oltre a riconsegnare alla ribalta gli scomparsi artisti (scomparsi anche parzialmente dalla memoria mainstream, prima del refresh operato proprio da quest’opera) Trevi così facendo riconsegna anche se stesso; non che fosse scomparso, anzi tutt’altro, pluripremiato su così tanti fronti che non saprei da dove cominciare a elencarli… bensì conferma insieme con un’elegante vocazione analitica – che forse è pool genetico – anche il fatto che il suo cuore si trova dal lato giusto. È così che si dice, no?, quando si può cosa fare, e si sceglie di far bene.

Bella età dell’oro

All’Italia piace osservarsi; l’Italia nonostante le sue mille contraddizioni e le cose che non vanno, resta profondamente innamorata di se stessa. Troppo spesso della se stessa passata e quasi mai dell’attualità, e questa è una costante bizzarra, perché nei tempi che oggi ammiriamo rileggere, mentre cioè quegli stessi tempi avevano luogo, noi non ci amavamo affatto e guardavamo sempre, costantemente più indietro. Ma è il principio dell’eta dell’oro, e toccherà berselo così com’è. Anche perché almeno in questo caso, davvero di oro si tratta.

Trevi ha scelto ancora una volta di ripercorrere vite di grandi artisti, che siano inventati o reali come dice lui stesso, non conta. Ora sono gli scomparsi Rocco Carbone e Pia Pera, come nel romanzo precedente erano grandi figure del cinema; in altro libro ancora c’era uno scrittore immaginario, se non mi sbaglio; poi c’era il libro su Pasolini, e se non erro proprio il suo esordio nelle pubblicazioni ipotizzava e ambientava una conversazione con un collega, sempre con la maestria del critico.

L’autore come espediente narrativo

Quanto a utilizzare il discorso per parlare del discorso: a una prima impressione potrebbe venire da definire questo tipo di lavoro con referenze autoctone “metaletteratura” ma è una definizione facilona. Piuttosto parlerei di Trevi un meta-autore: la sua letteratura resta autentica ma considera evidentemente se stesso un espediente narrativo, l’espediente che poi usa per consentire alla storia di darsi, di essere, e pertanto di essere narrata. È lui infatti che esiste nella sua storia, nelle sue storie.

Dato che la sua storia parla spesso d’arte, Trevi si immola come autore, decidendo di essere visibile (sembra una contraddizione, ma rifletteteci; se l’autore si palesa – con una prima persona, parlando fra le righe, esponendosi in termini di cronaca e non in fiction – voi, anzi noi, perché siamo tutti peccatori qui, perdiamo un minimo di presa di interesse e a quel punto l’autore deve essere abbastanza bravo da tenerci lì anche se ha sollevato il sipario).

Rinunciando al privilegio dell’autore invisibile, Trevi sacrifica le possibilità che questa invisibilità garantirebbe, in cambio della chance di mostrarci un mondo di arte reale, solo a qualche generazione da noi, ma che per lui ha avuto più importanza di qualunque invenzione, e lui sente, lui sa che quell’arte non deve andare perduta.

Celebrare l’umanità

Della raffinata e scintillante, così la definisce Trevi, Pia Pera, e del ruvido Rocco Carbone non servirà che vi parli; questo libro ha già risvegliato, come dicevamo, tutto interesse che i due artisti meritavano. Senza saperlo sono anni che inseguo il mio orto di pace personale in terrazzo, e finora sono riuscita a non uccidere almeno quattro piante (sul senso di pace vi faro sapere…).

Quanto all’amicizia narrata nel libro, sappiate che non si parla di santi, ma di esseri umani. Si parla di vite bellissime, dolorose, ispirate, di amore, affetto, amicizia; comunque di esseri non certo ultraterreni, bensì assolutamente carnali. E perciò secondo me dovrebbe valere ancora di più la potenza di farsi ispirare, perché di eroi e non di supereroi parliamo. Vale ancora di più l’invito a respirare quell’aria elettrica di creatività, joie de vivre, di cose che nascono, di un trust di artisti e cultori che comunicano; e vivere il resto dei dolori, dei rifiuti e dei mali della vita, come accessori del bene che respiriamo senza saperlo ogni giorno.

Questa è una delle mie frasi preferite:

Tutto ciò che è davvero solenne, nella nostra vita, manca opportunamente di solennità… e tute le volte di qualunque cosa possono esser le ultime volte.”

Un estratto del libro

Inspiegabilmente, alla fotografia si associa l’idea dell’«immortalare», ma è un modo di dire sbagliato, non c’è nulla che più della fotografia, in un modo o nell’altro sempre vincolata all’attimo e al presente, ci ricordi la nostra transitorietà e futilità. Come l’angelo con la spada infuocata (il più incazzato e inflessibile degli angeli) il tempo ci sbarra ogni via del ritorno a quel paradiso terrestre che vediamo nelle fotografie, trasformando ogni gesto e ogni presenza nell’emblema di una caduta inarrestabile.

D’altra parte, quell’attimo che la fotografia ritaglia nella durata può rendere visibile un’essenza, un aspetto permanente del carattere. Nel fondo dell’anima di Pia, anche nei momenti più difficili e disperati, resisteva sempre una vocazione inestirpabile ad accudire, proteggere – esseri umani, animali, vegetali. E quel gesto protettivo catturato dalla foto le è così connaturato che assomiglia più al respiro e al battito del cuore che alle decisioni consapevoli.

Solo così, vorrei aggiungere, quando fare il bene è una cosa che letteralmente ti scappa, mentre nemmeno ci pensi, la mano arriva al momento giusto e scongiura il peggio. Paragonato a questo istinto morale, il bene volontario produce sempre il suono di una moneta fasulla.

Sobrio, sommesso, delicato, apparentemente freddo ma in realtà soltanto rispettoso; pensate in che epoca siamo se non riusciamo a dar merito al primo che non strilla… Trevi ha composto Due vite in omaggio al ciclo dell’esistenza che si snoda da millenni; quello che siamo in vita ricordando chi non c’è più, e quello che verrà ricordato di noi, dagli altri che più avanti vivranno.

Trevi rinuncia al privilegio dell’autore invisibile in cambio della chance di mostrarci un mondo di arte reale, distante solo qualche generazione da noi, e lui sente, lui sa che quell’arte non deve andare perduta.

Due vite” di Emanuele Trevi, edizioni Neri Pozza, 2020. Anonima Lettrice Italiana.

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Ali

Leggo, scrivo, parlo, ma soprattutto parlo. E poi leggo e scrivo.

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