Club Armagnac & Baudelaire

“La Città dei Vivi” di Nicola Lagioia: recensione libro

” […] Nessun essere umano è all’altezza delle tragedie che lo colpiscono. Gli esseri umani sono imprecisi. Le tragedie, pezzi unici e perfetti, sembrano intagliate ogni volta dalle mani di un dio. Il sentimento del comico nasce da questa sproporzione […]”.

La città dei vivi

la città dei vivi

Nicola Lagioia, nel suo ultimo libro “ La città dei vivi”, ricostruisce, con l’espediente del romanzo non-fiction, il delitto Varani che nel 2016 sconvolse per le modalità ed i protagonisti l’opinione pubblica italiana. Il testo, dall’ottima prosa, pone l’accento sull’attività documentale messa in atto dall’autore con una  ricerca ossessiva delle fonti nel tentativo di indagare la psiche umana e ciò che si nasconde dentro l’animo dei carnefici; Lagioia scava, direttamente e indirettamente, nella vita degli assassini, provando a scoprire ciò che portò alla generazione del germe del male, capire la cosiddetta genesi della follia omicida.

“[…] Nessuno riusciva più a imputarsi una colpa, nessuno riconosceva se stesso la possibilità del male. Era il narcisismo di massa? Era la paura del biasimo sociale che trovava nella gogna il suo spettacolo preferito? Ai delinquenti consapevoli si sostituivano così gli assassini a propria insaputa, i bugiardi sinceri, i traditori fedeli, i ladri misericordiosi, i cialtroni responsabili […]”.

Tuttavia il romanzo si presenta come una sorta di Frankenstein: nel corso della lettura, infatti, è impossibile non pensare a “Compulsion” di Meyer Levin, “A sangue freddo” di Truman Capote e “L’Avversario” di Emmanuel Carrère che, seppur molto diverse tra loro, sono opere che si manifestano in alcuni tratti del romanzo di Lagioia a cui, però, manca un po’ di spregiudicatezza non tanto nelle violente ed efferate descrizioni quanto nel tenere sospeso in linea di galleggiamento il proprio giudizio. Inoltre, inevitabilmente, non può sfuggire il tentativo dell’autore di descrivere una Roma quanto mai putrida e disastrata ma allo stesso tempo ammaliante, strizzando l’occhio sia alle atmosfere periferiche di pasoliniana memoria sia agli scenari audiovisivi ben noti di Suburra.

“[…] Tutti sanno che la fine del mondo ci sarà. Ma il sapere, nell’uomo, è una risorsa fragile. Gli abitanti di Roma la consapevolezza delle cose ultime ce l’hanno nel sangue, ed è talmente assimilata da non generare più nessun ragionamento. Per chi abita qui la fine del mondo c’è già stata, la pioggia ha solo il fastidioso effetto di rovesciare dal bicchiere un vino che in città si beve di continuo[…]”.

Proiettare se stessi nei colpevoli

Il parallelismo con l’Avversario, forse, è dovuto al tentativo di Lagioia di proiettare se stesso nella figura dei colpevoli, di inserire nella storia elementi autobiografici del passato che, però, sembrano essere oltre che superflui ai fini narrativi più un bisogno narcisistico atto a nutrire il proprio ego.

In conclusione La Città dei Vivi è un buon romanzo non-fiction la cui struttura narrativa di stampo giornalistico, nonostante alcuni tratti ripetitivi ed eccessivamente pieni di dettagli inutili, riesce a delineare e incunearsi, seppur timidamente, dentro quegli anfratti bui che sono uno dei misteri della psiche umana.

ThreePointSeventyfive-Star Book

“La città dei vivi” di Nicola Lagioia, Einaudi Editore. Club Armagnac & Baudelaire.

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