Rete Miceliale

“I figli del male” di Antonio Lanzetta: recensione libro

Lanzetta ci riporta tra le ferite antiche di una terra tanto stupenda quando maledetta, di luoghi capaci di meraviglie e orrori. Ci riporta a Castellaccio.

Damiano Valente, lo Sciacallo, sta ancora facendo i conti con gli orrori commessi dall’Uomo del Salice quando uno strano omicidio irrompe nella sua routine fatta di dolore e rimpianti. Coinvolto dalla polizia locale di cui è da sempre consulente, Damiano incappa in un misterioso biglietto cacciato in gola alla vittima: Lui vede. Perché quelle due semplici parole scatenano in Damiano un inquieto terrore? In che modo è coinvolto Flavio, coraggioso ma oscuro, mai del tutto riuscito a liberarsi dalle ombre del suo passato e dell’Uomo del Salice? I figli del male riprende alcuni temi de Il buio dentro ma può essere anche letto come romanzo indipendente, come storia a sé, anche se io vi consiglio con forza di recuperare anche il titolo precedente.

I figli del male di Antonio Lanzetta

Lanzetta, riprendendo quello che è ormai un suo talento consolidato, intreccia il passato e il presente. Si spinge fino al secondo dopoguerra dove in un’Italia più semplice ma non per questo meno malvagia il giovane Tommaso lotta contro le tante sfaccettature dell’oscurità che si agita tra le pietre, i boschi e i fiumi di Castellaccio. Lo fa con il suo stile intenso, sofferto e carico di emozioni.

I figli del male è una consapevole e decisa conferma per Lanzetta. Ne Il buio dentro ci aveva mostrato il tocco del buio, ci aveva messo a parte di un segreto angosciante: il male deforma, e corrompe. Anche quattro ragazzi puri, forti della loro amicizia, se vengono toccati dalle tenebre non posso fare a meno di esserne modificati da un contatto così terribile.

Ne I figli del male i ragazzi sono cresciuti e Lanzetta non si occupa più della loro infanzia ma va a scavare più a fondo, dissotterra leggende nere e le espone in tutta la loro malvagità. Il Castellaccio degli anni cinquanta è come un mostro che si sta risvegliando piano piano. Ha qualcosa di sbagliato, di profondamente corrotto e la Guerra ho solo camuffato le storture del paese e dei abitanti. Ritroviamo un giovane Mimì, già alle prese con la malavita che è cancro inestirpabile di quelle terre. Conosciamo Tommaso, figlio di un lattaio violento, troppo sensibile e intelligente e per questo esposto al male di Castellaccio in tutte le sue forme.

Lanzetta è coraggioso e cinico nella sua narrazione. Chi sono I figli del male? Siamo noi. C’è un pizzico della nostra ombra in tutti i personaggi che l’autore dispone sulla scacchiera nera che è il suo romanzo. C’è la battaglia eterna di Damiano tra l’essere ciò che è ciò che poteva diventare. C’è la battaglia di Flavio tra ciò che poteva diventare e ciò che è. C’è, alla base, il desiderio asfissiante di fare del bene, di essere migliori. Una lotta costante tra i nostri peggiori istinti e le nostre più grandi aspirazioni. Il bene e il male? Il bianco e il nero? No. A Castellaccio non esiste il bianco, e non esiste il nero. E’ un mondo grigio quello di Lanzetta, complesso e completo. Un mondo nel quale le debolezze di un ragazzino possono catalizzare orrori così tremendi da non poter nemmeno essere immaginati.

La sentenza dell’autore è chiara: quando la vita si interseca con le ombre niente è più come prima. Il male sceglie i propri campioni ma allo stesso modo, per la sua natura, genera anche i propri avversari. Non può farne a meno. Crea mostruosità ma al tempo stesso forgia anche le armi per combatterle. Damiano e Flavio sono questo. Travolti dal male di Castellaccio portano dentro di loro il buio ma è attraverso questo buio che sanno come raggiungere la luce.

Dal mio punto di vista I figli del male racchiude al suo interno un’altra grande metafora: Flavio, la sua ossessiva ricerca della giustizia, l’amore e l’odio che prova per ciò che è e ciò che fa è un pezzo di noi. Di chiunque abbia una passione forte, un amore irresistibile per qualcosa, un desiderio doloroso e appagante. I figli del male è anche questo: uno specchio nero nel quale riflettersi e riflettere

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“I figli del male” di Antonio Lanzetta, edizioni La Corte Editore. Rete Miceliale.

Maico Morellini

Maico Morellini, classe 1977 vive a Reggio Emilia e lavora nel settore informatico dove si districa tra cinema, programmi e letteratura. Il suo primo romanzo di fantascienza, Il Re Nero, ha vinto il Premio Urania 2010 ed è stato pubblicato l’anno successivo da Mondadori. Sempre per Mondadori nel maggio 2016 è uscito il romanzo La terza memoria. Nel 2018 il romanzo Il diario dell’estinzione edito da Watson ha vinto il Premio Italia 2019 come miglior romanzo fantasy. Nel 2019 ha pubblicato all'interno dell'Urania Millemondi Strani mondi il racconto Fatum e con Providence Press il romanzo Il ragno del tempo, vincitore del Premio Italia 2021. Ha partecipato a diverse antologie tra cui 365 Racconti sulla fine del mondo, Propulsioni di improbabilità, I sogni di Cartesio e Ma gli androidi mangiano spaghetti elettrici? e pubblicato altri diversi racconti.

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