Osare con parole come cuore, che già dai primi versi compare, è impresa da pochi. E da pochi riuscita. Eppure Michela Zanarella lega al centro emotivo e universale di ogni nostra esistenza, temi e atmosfere mai banali, mai distratte dall’eccesso del dire. Lo fa con “L’istinto altrove”, edito da Giuliano Ladolfi Editore.
La poesia della Zanarella ha – in alcuni suoi tratti – un sapore di antica memoria, che rende l’ipoteca della poesia del passato meno pesante da reggere, in un equilibrio di mondi e immagini che avvolgono, scaldano, ristorano, nel prismatico universo dell’emotività. Ricorre una terminologia legata a colori, silenzi, sguardi, attraverso la quale l’autrice impartisce un ordine, un allineamento alla sua voce, che ci aiuta a entrare, a scavare in quel coacervo semantico di immagini intangibili, dove la sostanza materica latita, ma si sente, eccome.
Il silenzio sopra ogni immagine aleggia lungo tutti i versi. Silenzio come sostanza innaturale umana, ma che al contrario diventa linguaggio di unione. Un silenzio che si reclama nel ritorno, benché per molti rappresenti una condanna,
«continuo a rannicchiarmi / tra i tuoi silenzi / come un feto smanioso di uscire / a toccare lo splendore del giorno».
E allora, se l’istinto è altrove, il silenzio è imperituro («mi tiene in vita / il pensiero di un tempo / speso a riempirmi / dei tuoi silenzi»). Sia il lettore a scegliere in che parte del proprio io, o forse sarebbe meglio dire Es, collocarlo: se nel trauma della parola desiderata, o se nel ristoro della quiete che invoca e rappresenta.
La Zanarella pensa a un «posto dove ogni cosa resiste al tempo», noi pensiamo che sia la poesia, la sua, a resistere. E più si prosegue accarezzando i versi della raccolta, più il silenzio diventa assenza, quella “assenza più acuta presenza”, come ci ricordano i versi di Attilio Bertolucci. O almeno così ci sempre di intuire. O almeno così qualcuno potrebbe credere. Ed è questa la forza della poesia, in generale, che la Zanarella sa incarnare: lasciare libero il passaggio dell’interpretazione emotiva. E se l’autrice tenta di difendersi dal passato – scrive in un passaggio della raccolta – noi ci arrendiamo al suo dire. E senza pentimento. Perché la sua poesia resiste, ma senza imporre la direttrice.