Di Versi in Versi

Di Versi in Versi: “Variazione Madre” di Federico Preziosi

Per “Di Versi in Versi”, vi proponiamo la lettura di “Variazione Madre” di Federico Preziosi, edito da Controluna – Edizioni di Poesia

Per “Di Versi in Versi”, vi proponiamo la lettura di “Variazione Madre” di Federico Preziosi, edito da Controluna – Edizioni di Poesia, nella collana “Lepisma floema, I poeti segnalati da Giuseppe Cerbino”. 

L’universo femminile in poesia: donna/madre, tra ruoli e istinti

C’è un mantra che la poesia è capace di incarnare, più che altri terreni di esplorazione della parola: ogni lettura è personale, e la poesia ha in sé il gene dell’interpretazione. A parere di chi scrive, una buona poesia deve saper donare questo margine di manovra del tutto personale al lettore.

Una premessa necessaria, per comprendere la capacità, il saper sapientemente maneggiare la parola, di Federico Preziosi, in questo suo lavoro intitolato “Variazione Madre”. Colpisce nella strutturazione del suo lavoro editoriale, infatti, non tanto – o meglio, non solo – la capacità di essere passato dall’essere un tenore per genetica, a una voce soprano nella costruzione dei testi; quanto il modo in cui l’universo femminile viene rappresentato: donna “abile” alla maternità, ma che continua ad essere donna, con pulsioni, sensi di colpa dettati da naturali istinti erotici, e doveri di ruolo.

«Sbocciai come donna, senza essere madre

pronunciando le labbra al sentire carnale.

[…]

Cambiavo d’aspetto, capezzoli grossi,

di carne le spille sferzavano l’uomo

di carne il solo e unico avvento.

[…]

Essere

una madre e una donna

una sola cosa».

L’autore dedica il testo “Alle madri che mi hanno messo alla luce”. Potrebbe sembrare scontato, invece è del tutto singolare la scelta della pluralità in questo inizio di testo. Perché ogni essere umano racchiude in sé poliedriche esistenze, ma la cultura maschile (non necessariamente maschilista, benché – ahimè – è presente anche quella) spesso tende ad appiattire quella del genere opposto:

«la miseria pia è l’illusione che resisterti sia un male

e che solo funzione succube si ritrovi a muoversi così

come muove il vento. A te gli scatti a me i resti.

Tu valanga io ramoscello».

«Il tentativo dei testi che compongono questa silloge di Federico Preziosi non è più quello di una “sacralizzazione” del femminile attraverso cui, in vari modi, il maschio viene sottratto al suo inferno (pensiamo alla figura di Clizia in Montale) ma quello di avviare un processo di immedesimazione con l’inferno femminile a cui nessuna donna pare sia stata sottratta», scrive non a caso nella prefazione Giuseppe Cerbino curatore della collana di poesia.

Con la poesia Preziosi sembra tentare di “liberare” l’essenza plurima della donna

E allora Preziosi sembra tentare questa operazione di liberazione delle essenze plurime e variegate della donna/madre, che genera, mette al mondo e non sempre per natura, anche per condizionamento ambientale, che nasce dall’amore per il tutto, non necessariamente per il particolare: «Divenni Figlio, Amore e infine Donna».

Preziosi – e questa è caratteristica stilistica che salta all’occhio – utilizza il vocabolario alla maniera dei prosatori, ma le maglie restano sempre quelle della poesia, dove è la parola il fine assoluto dell’immagine:

«Nel coacervo dei sinonimi

resto anonima, ma per te

il mio nome è uno».

L’accostamento delle parole diventa studio a sé nell’analisi del testo di Preziosi. Si pensi alle associazioni che fa tra l’amore e lo “sporco” dei momenti che provoca: «ti amo e vomito», scrive l’autore. Che prosegue, associando alla maternità il concetto di imprevisto e di ferite aperte:

«Porto in grembo questo inciampo, questa oasi dell’incanto

sia mentale sia carnale, è una dote naturale

e questi rivoli di pianto, questi cumuli di fango,

certe voglie che mi sbocciano son rose a sanguinare

nel silenzio: come penso all’intreccio madrigale

le vertigini di tempra e di impeto a annaffiare

ché quiete io non trovo nella tua metà del cielo

[…]

sono aperte le ferite, ma non resta che aspettare».

Oltre gli stereotipi, per creare nuovi suoni

Federico Preziosi

Ma, come si diceva, una madre è donna e con la sua scrittura Preziosi sembra tentare di sprigionare ogni singolo aspetto e impulso, anche quello erotico, che se da un lato viene vissuto con biblico senso di colpa, dall’altro può anche essere “usato” per creare modi di definizione e azione.

Per meglio comprendere, leggiamo a pagina 42:

«Mi tappavi la bocca e restava di dentro

la voce che ancora trattengo le gemme

sonore nei palmi di carne dei suoli

i colpi anteriori

i colpi alle reni che non hai placato

il sangue alla testa e d’orgasmo il conato

[…]

ed io morivo

morivo di gioia». Il componimento ha una partenza quasi allusiva e tendente al diniego. Ma la conclusione ci adagia sul letto della gioia.

E ancora, al componimento successivo, a pagina 43:

«Io sacra Io profana Io succube Io devastata

Io detergo dei desideri un pezzo:

la varichina bagna spiagge dove essere

naufraga nella purezza della resa.

Io lurida Io sporca come la prima sera

che da sotto la sottana morde e nega». Pulire, smacchiarsi dal “disonore” di essere e desiderare. Sentirsi sporchi, tanto da dover negare, ma da sotto la sottana non si nega soltanto, si morde.

Una sottana che può e – perché no? – vuole essere squisitamente erotica:

«Ho del mare da piantarti nella gola.

Questo mare che mi balla, che mi beve,

che sconquassa. Questo mare che mi esplode

dalle viscere dal ventre».

ma che spesso si impone l’impedimento (io non posso):

«Solo un rivolo di sperma mi cola dalle labbra.

Non mi riesce di essere brava. Io non posso

e non sono brava a ingoiare».

Non c’è nulla di scontato nella “rappresentazione” della donna operata da Preziosi in questo testo. Nulla di allusivo, abusante o tendente allo stereotipo. E il rischio di cadere in queste trappole era alto. La prova è superata. Ma non è una competizione. È poesia, potenza creatrice, che si serve della voce degli autori per amplificare o – come nel caso di specie – creare nuovi e sorprendenti suoni.

Felicia Buonomo

Felicia Buonomo è nata a Desio (MB) nel 1980. Nel 2007 inizia la carriera giornalistica, occupandosi principalmente di diritti umani. Alcuni dei suoi video-reportage esteri sono stati trasmessi da Rai 3 e RaiNews24. Attualmente è giornalista presso Mediaset ed è nella redazione di Osservatorio Diritti. Alcune sue poesie sono state pubblicate su riviste e blog letterari, quali La rosa in più, Atelier poesia, la Repubblica – Bottega della Poesia e altrove. Alcuni suoi versi sono apparti anche su riviste e blog letterari degli Stati Uniti, quali Our Verse Magazine, The Daily Drunk Mag e Unpublishable zine. A dicembre 2020, una poesia – tradotta in francese da Bernard Giusti – verrà pubblicata sulla rivista parigina “L'Ours Blanc”. Altri suoi testi poetici sono stati tradotti in spagnolo dal Centro Cultural Tina Modotti. Cura una rubrica dedicata alla poesia su “Book Advisor”. Pubblica il saggio “Pasolini profeta” (Mucchi Editore, 2011), il libro-reportage “I bambini spaccapietre. L'infanzia negata in Benin” (Aut Aut Edizioni, 2020), la raccolta poetica “Cara catastrofe” (Miraggi Edizioni, 2020) e la raccolta poetica "Sangue corrotto" (Interno Libri, 2021). Dirige la collana di poesia “Récit” per Aut Aut Edizioni.

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