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Moving Books – V per Vendetta

Si è già parlato di Alan Moore e del suo pessimo rapporto con il cinema. La sua opera è particolarmente amata dai cineasti, soprattutto nel primo decennio del Duemila, ed è un amore totalmente non ricambiato: da From Hell (2001) a La leggenda degli uomini straordinari (2003, sconsigliatissimo, soprattutto se paragonato ai fumetti), fino al più recente Watchmen. Eppure il nostro ha sempre rifiutato di comparire nei credits e perfino di riscuotere le royalties.

Che Moore sia anarchico, politicamente e spiritualmente, si sa. Ma la sua repulsione per questi film dipende anche dai risultati dell’atto della trasposizione cinematografica, che l’hanno sempre fortemente deluso. Del resto, nelle sue opere troviamo sempre una complessità di temi e di citazioni che difficilmente potrebbe emergere nella sua interezza al cinema: film e fumetto sono due strumenti d’arte e di comunicazione differenti, con tempi di fruizione altrettanto differenti, seppur con punti di contatto negli obiettivi narrativi.

James McTeigue, V per Vendetta, 2005
(Credits: V for Vendetta © Warner Bros. 2005)

Watchmen è un buon esempio di trasposizione appassionata e “sana”. Un altro buon esempio è V for Vendetta (2005). Le grandissime sorelle Wachowski sono le eminenze (non tanto) grigie dietro la realizzazione: loro si sono occupate di sceneggiatura e produzione, lasciando la regia al collaboratore di sempre James McTeigue. La graphic novel è ovviamente un capolavoro: intrisa di nichilismo e odio per tutto ciò che è thatcheriano, è fatta di esseri umani fallibili e imperfetti. Come il Rorschach di Watchmen, il protagonista si nasconde dietro una maschera per portare avanti ideali assoluti e potenzialmente pericolosi quanto quelli che combatte: purezza, verità, autodeterminazione, giustizia senza compromessi. Anarchia, per l’appunto. Ma alla fine della sua rivoluzione, gli esseri umani che restano cosa fanno di quell’anarchia?

James McTeigue, V per Vendetta, 2005
(Credits: V for Vendetta © Warner Bros. 2005)

Il fumetto e il film danno due risposte completamente diverse. Il primo si conclude con il trionfo terribile del caos (che non è l’anarchia), in cui donne e uomini mirano semplicemente a sopravvivere l’uno a scapito dell’altro, invece che a costruire qualcosa di nuovo. La società umana è secondo Alan Moore troppo marcia, troppo decadente per avere una vera speranza che non sia quella di distruggere un ordine precostituito dopo l’altro. Il finale del film, ormai celebre, racconta l’esatto opposto: il popolo, in tutte le sue espressioni, si unisce in un’entità sicura e temibile contro il sistema di potere che lo vuole invece uniformato ma diviso. Un’immagine universale di progresso che non esita a includere al suo interno anche i personaggi di cui avevamo visto la morte nelle due ore precedenti. Dietro V, dietro la sua maschera, potrebbe davvero esserci chiunque. V è tutti noi. Una virata coraggiosa rispetto alla graphic novel e (incredibilmente) valida allo stesso modo.

Il fumetto è una gemma di riferimenti simbolici e artistici che diventa una vera e propria caccia al tesoro, da Shakespeare fino ai Rolling Stones. Il film è una scarica di adrenalina che non rinuncia a pause di riflessione lucide e profonde, con un V molto più umano e amabile: a questo proposito, consiglio vivamente la visione in lingua originale per godersi la splendida performance vocale di Hugo Weaving (l’agente Smith di Matrix e il re Elrond di Il Signore degli Anelli). Due strumenti diversi, due messaggi diversi: ma due facce della stessa straordinaria medaglia.

James McTeigue, V per Vendetta, 2005
(Credits: V for Vendetta © Warner Bros. 2005)

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Chiara Tartagni

Copywriter, studiosa di storia dell’arte, insegnante, nerd, ma soprattutto una persona molto curiosa. Ama tutto ciò che riguarda le immagini, in movimento e non. Ha scritto un libro per Jimenez Edizioni, "Le relazioni preziose": un piccolo viaggio sentimentale fra il Settecento e il cinema contemporaneo.

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