Libri in pillole

“Winesburg, Ohio” di Sherwood Anderson: recensione libro

Non finisce mai di sorprendermi il modo in cui la letteratura riesce a resistere alla forza dirompente degli anni che passano, superando costumi, abitudini, mode, punti di riferimento culturale. Riesce letteralmente a prelevarti dal tempo che abiti e a farti piombare in contesti lontani, quasi dimenticati, facendoteli percepire, toccare, respirare, vivere.

È quello che accade leggendo Winesburg, Ohio di Sherwood Anderson, libro che l’autore statunitense finì di scrivere nel 1919, che racconta quell’America dei primi del ‘900 distante anni luce dall’idea di modernità che gli Stati Uniti rievocano nell’immaginario collettivo attuale. Perché questo romanzo, composto da tanti brevi racconti che si legano l’un l’altro, ci riporta esattamente nel momento in cui si stava completando il passaggio dalla società pre industriale a quella industriale, all’epoca, cioè, in cui gradualmente stava iniziando a prendere forma una nuova concezione di mondo spiccatamente capitalista, individualista, esclusivo.

Una transizione che Sherwood ci racconta dal punto di vista della piccola comunità del Midwest, Winesburg, all’interno della quale si muovono i suoi abitanti impolverati, ruvidi, stanchi, non ancora pronti per quel cambiamento che sta inesorabilmente avanzando minaccioso per inglobare l’improduttivo e superfluo contesto rurale. Uomini e donne già logorati dalla difficoltà di abbattere quei muri invalicabili che li obbligano a confrontarsi quotidianamente con una solitudine alienante, che fa emergere una società poco incline all’idea di comunità: è l’incomunicabilità ad affiorare in ogni incontro, in ogni confronto, perché c’è un ruolo sociale da raggiungere e consolidare, dunque gli sforzi devono necessariamente convergere sulla costruzione del proprio futuro. Non c’è margine per pensare alla collettività, non c’è spazio per il bene comune, non ci sono le forze per ragionare in termini inclusivi.

“Erano le verità a rendere le persone delle caricature. Il vecchio aveva una teoria complessa a questo proposito. Era dell’opinione che nel momento in cui qualcuno s’impadroniva di una verità e diceva che quella era la sua verità e provava a vivere secondo essa, egli diventava una caricatura e la verità che abbracciava diventava una falsità”.

Il comune denominatore dei racconti attraverso i quali Sherwood dipinge la comunità di Winesburg è George Willard, giovane cronista del Winesburg Eagle, che osserva la vita degli abitanti del piccolo paese entrando e uscendo di scena come narratore e protagonista. Ed è con gli occhi del ragazzo di campagna che sogna la grande città che Sherwood ci restituisce un ritratto eterogeneo della marginale società statunitense, composta da vite grigie, tremendamente routinarie ma anche sensibilmente umane. Un’esistenza in cui progressivamente si materializza lo smarrimento e lo sconforto di quelle comunità contadine che vissero sulla loro pelle il momento esatto in cui la Storia stava passando per depotenziarle ed estinguerle, per fare spazio a quella che di lì a poco si sarebbe conosciuta come civiltà industriale: frenetica, individualista, iperproduttiva, ancor più disumanizzante.

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“Winesburg, Ohio” di Sherwood Anderson, edizioni Einaudi. Libri in Pillole.

Alessandro Oricchio

Dottorando in studi politici Sapienza Università di Roma, speaker di Teleradiostereo, giornalista pubblicista iscritto all'Odg del Lazio. Amante dei libri, dei viaggi, del calcio, della lingua spagnola, del mare e della cacio e pepe.

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