Sussurri tra le pagine

“Stoner” di John Williams: recensione libro

“Stoner” è un racconto che si dipana lungo la vita del suo omonimo protagonista: un giovane privo di grandi ambizioni o chiari progetti, timido, introverso, incerto sul proprio futuro, solo e senza amici. Sarà proprio in questa malinconica solitudine che conoscerà l’accogliente abbraccio della letteratura, quell’attimo in cui i protagonisti dei racconti si trasformano in presenze tangibili, pronte a colmare lo spazio vuoto di una stanza buia. “L’amore per la letteratura, per il linguaggio, per il mistero della mente e del cuore che si rivelano in quella minuta, strana e imprevedibile combinazione di lettere e parole, di neri e gelidi caratteri stampati sulla carta, l’amore che aveva sempre nascosto come se fosse illecito e pericoloso, cominciò a esprimersi dapprima in modo incerto, poi con coraggio sempre maggiore. Infine con orgoglio.”
 
Del tutto incapace di provare determinanti slanci emotivi, William Stoner, riuscirà, quindi, a farsi coinvolgere dalla sola passione che sembrerà portarlo alla realizzazione di sé stesso, anche se, in fondo,
Università del Missouri (2006, Stevehrowe2, CC0 Public Domain, Wikimedia Commons)
resterà spesso insoddisfatto per la propria incapacità di trasmettere quella stesso trasporto, attraverso scritti e lezioni, cosa che lo renderà, ben presto, tanto uno studente quanto un insegnante frustrato. Solo l’incontro con Edith sembrerà muovere una simile emozione, trascinante ed amorosa, per la quale finirà, tra incertezze e insicurezze, nelle braccia di una donna algida, chiusa nel proprio timore di essere troppo o troppo poco, anaffettiva, incapace di vivere spontanee emozioni, mai appagata e terribilmente infelice. Una condizione sofferta che trasformerà un matrimonio in un sentimento vacuo, formale, rabbioso e sorprendentemente tragico “come se fossero vecchi amici o amici ormai esausti”.
 
Ingenuo, umano, refrattario alle novità, essere imperfetto ed ordinario, Stoner proverà, allo scoppiare della guerra, soprattutto fastidio per un cambiamento non previsto, non slancio patriottico o desiderio di rivalsa. Questo anche perché mai ricercherà grandezza, ed anzi, volutamente si accontenterà di restare nella media, studiando e lavorando con impegno e devozione, senza puntare troppo in alto ma evitando metodicamente di risultare insufficiente. Da oggetto, quindi, più che protagonista, delle scelte e delle decisioni che la vita impone, verrà solo sfiorato dagli eventi che scavano indelebili solchi nella storia del mondo e negli animi umani. “Una guerra non solo uccide qualche migliaio, o qualche centinaio di migliaia di giovani. Uccide anche qualcosa dentro le persone, qualcosa che non si può più recuperare.” una considerazione, questa, che Stoner capirà solo molti anni dopo, quando il tempo farà spazio a nuove consapevolezze.
 
John Williams racconta dunque, quella che si potrebbe definire una vita “normale”, priva di grandiose
John Williams
gesta, carica di imprevisti e di umana fallibilità, che trova sublimazione in una prosa asciutta e lineare. Un inno alla mediocrità tra un’amicizia che nasce, un amore che muore, una passione che si estingue, il lutto che insegna la fragilità dell’esistenza, le ingiustizie travestite da compassioni, i disagi condivisi che diventano motivo di giudizi inesatti, le fragilità dei genitori che tracciano margini sbiaditi nella sagoma dei propri figli. L’infinita ciclicità che caratterizza la vita comune, nulla di più, niente di meno, con tutto ciò che piega, con tutto ciò spezza, frantuma ed infine, incomprensibile si estingue. “Anche tu sei uno dei malati: sei il sognatore, il folle in un mondo ancora più folle di lui, il nostro Don Chisciotte del Midwest, che vaga sotto il cielo azzurro senza Sancho Panza. Sei abbastanza intelligente, di certo più del nostro comune amico. Ma in te c’è il segno dell’antica malattia. Tu credi che ci sia qualcosa qui, che va trovato. Nel mondo reale scopriresti subito la verità. Anche tu sei votato al fallimento. Ma anziché combattere il mondo, ti lasceresti masticare e sputare via, per ritrovarti in terra a chiederti cos’è andato storto. Perché ti aspetti sempre che il mondo sia qualcosa che non è, qualcosa che non vuole essere.”
 
Un racconto introspettivo, che normalizza l’eroe e che potrebbe apparire piuttosto piatto vista la mancanza di un vero e proprio climax, ma che, ad ogni modo, affascina e cattura nella disamina di una noiosa umana ordinarietà. Quasi un romanzo di formazione, in cui il protagonista scopre, ritrova e forse anche ricostruisce sé stesso, fino al raggiungimento di ragioni nuove. Prese di coscienza che lo condurranno verso una crescita interiore, ed una indispensabile maturazione, per le quali dovrà necessariamente lottare contro ogni suo primordiale istinto di indifferenza. “Era arrivato a un’età in cui, con intensità crescente, gli si presentava sempre la stessa domanda, di una semplicità così disarmante che non aveva gli strumenti per affrontarla. Si ritrovava a chiedersi se la sua vita fosse degna di essere vissuta. Se mai lo fosse stata. Sospettava che alla stessa domanda, prima o poi, dovessero rispondere tutti gli uomini.”
 
Nonostante il libro si apra con una dedica di Williams ai suoi colleghi di dipartimento dell’università del Missouri, nella quale avverte che non vi troveranno personaggi o avvenimenti reali, è impossibile non notare simmetrie tra la figura dell’autore e quella del protagonista, partendo dalle origini contadine fino alla vita accademica che li accomuna. L’autore rivelerà in un’intervista a Bryan Woolley la sua naturale passione per la letteratura, che lo corromperà (come succede a Stoner) fin da molto giovane e che si trasformerà presto nell’amore per l’insegnamento, presso l’università, per lui rifugio della conoscenza da preservare ad ogni costo. È sempre nella stessa intervista che l’autore spiega la vera natura del personaggio, (eroe secondo il suo creatore), dedito al lavoro di insegnante indefesso, che costituirà, poi, le fondamenta della sua stessa identità. In una delle sue lettere all’agente letteraria Marie Rodell, l’autore spiega così il senso di tutta la sua opera: “il nocciolo del romanzo è che si tratta di una specie di santo, o, per dirla altrimenti, il romanzo parla di un uomo che non trova alcun significato nel mondo o in sé stesso e lo trova invece, insieme a una sorta di vittoria, nell’onesto e ostinato esercizio della sua professione.”

Non era una passione della mente e nemmeno dello spirito: era piuttosto una forza che comprendeva entrambi, come se non fossero che la materia, la sostanza specifica dell’amore stesso. A una donna o a una poesia, il suo amore diceva semplicemente: Guarda! Sono vivo!

“Stoner” di John Williams, edizione Mondadori.

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Angela Finelli

Classe 1987. Nata a Napoli, tra i vicoli e l'odore del ragù lasciato a "pappuliare" a fuoco lento già dall'alba. Amante dei libri da sempre, della buona cucina e delle mete insolite. Dipendente dal caffè, dalle risate spontanee e da quella punta di follia che rende la vita imprevedibile. Fiera sostenitrice del potere delle parole e dei sussurri nascosti tra le righe, quelli che lasciano un'impronta nella memoria e i brividi sulla pelle.

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